
La “constatazione del decesso” è stata in questi anni frequente motivo d’invio di mezzi medicalizzati (automedica o ambulanza medicalizzata) da parte della CO 118.
La più o meno fondata convinzione che la diagnosi ed il successivo accertamento della morte è prerogativa della sola professione medica ha spesso giustificato l’utilizzo in emergenza territoriale di tale figura professionale per “constatare” la morte anche di quei pazienti in cui, per vari motivi clinici ed etici, non esisteva alcuna indicazione alla rianimazione cardiopolmonare.
Facciamo chiarezza esaminando i riferimenti di legge disponibili.
L’accertamento di morte e’ prerogativa della professione medica
Il fondamento legislativo dell’accertamento di morte risale al Testo Unico delle Leggi Sanitarie (TULS) approvato con Regio Decreto nel 1934 che all’articolo 103 tra le prerogative delle professioni sanitari recita che “Gli esercenti la professione di medico-chirurgo, oltre a quanto e’ prescritto da altre disposizioni di legge, sono obbligati a denunziare al podestà le cause di morte entro ventiquattro ore dall’accertamento del decesso.”
In esso sia pur indirettamente la figura medica veniva individuata come unica responsabile dell’accertamento e della comunicazione della morte alle autorità.
In epoca più recente la legge n. 578 del 29 dicembre 1993 “Norme per l’accertamento e la certificazione di morte”all’articolo 1 comma 1 stabilisce che “La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.”
La morte dell’ encefalo a tutti i suoi livelli infatti determina l’irreversibile disgregazione funzionale del classico “tripode vitale di Bichat”, che consiste nella contemporanea presenza della funzionalità respiratoria, cardiocircolatoria e del sistema nervoso centrale.
La medesima legge infatti all’articolo 2 comma 1 chiarisce che “La morte per arresto cardiaco si intende avvenuta quando la respirazione e la circolazione sono cessate per un intervallo di tempo tale da comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo e puo’ essere accertata con le modalita’ definite con decreto emanato dal Ministro della sanita’.”
Per le modalità di accertamento si rimanda quindi al decreto n. 582 del 22 agosto 1994, “Regolamento recante le modalita’ per l’accertamento e la certificazione di morte.” che all’articolo 1 comma 1 stabilisce: “In conformita’ all’art. 2, comma 1, della legge 29 dicembre 1993, n. 578, l’accertamento della morte per arresto cardiaco puo’ essere effettuato da un medico con il rilievo grafico continuo dell’elettrocardiogramma protratto per non meno di 20 minuti primi.”
Ma allora cos’e’ la “constatazione di decesso”?
In effetti tale termine non ha alcun riferimento nel complesso legislativo che regola l’accertamento e la certificazione della morte e non compare in nessuna parte dei regolamenti di polizia mortuaria. E’ quindi un termine derivato dalla consuetudine operativa, si confonde con la diagnosi e l’accertamento di morte ed è stato alimentato dalla trasmissione aneddotica/orale con sporadico riscontro nei regolamenti locali.
Ma per capire che un paziente e’ in arresto cardiaco serve un medico?
Sulla “diagnosi” di arresto cardiaco il BLS e la comune pratica ci hanno da anni insegnato che essa è clinica e non strumentale e può essere effettuata anche da personale laico addestrato e non addestrato sia pure se guidato anche in modo remoto da un professionista sanitario. Questo estendere una “diagnosi” a personale non sanitario ha contribuito in modo fondamentale ai progressi in termini di sopravvivenza nei pazienti colpiti da morte improvvisa diffondendo la cultura e delle rcp di base e della defibrillazione precoce.
Abbiamo quindi oramai universalmente stabilito che i laici possono individuare la presenza di criteri clinici di arresto cardiaco tanto che essi sono autorizzati ad effettuare un massaggio cardiaco ed utilizzare un defibrillatore.
L’arresto cardiaco nei pazienti in cui non e’ indicata la RCP
A maggior ragione tale “diagnosi” può essere effettuata da familiari o astanti in pazienti a fine vita, affetti da patologie in fase terminale in cui sono esauriti i margini terapeutici ed in cui l’assistenza e la cura non sono oramai un’emergenza.
Riassumiamo
L’accertamento della morte non è una procedura d’emergenza-urgenza e può essere effettuata da un medico (in genere il necroscopo) mediante il rilievo per 20 minuti in continuo delle’ECG.
Nel complesso delle norme non viene mai nominata la “constatazione del decesso” essa è spesso utilizzata come sinonimo fuorviante di accertamento di morte o dichiarazione di arresto cardiaco/morte.
L’arresto cardiaco è un riscontro clinico e può essere fatta da chiunque se addestrato o sotto guida dell’infermiere di centrale.
C’è una categoria di pazienti per i quali esistono clinicamente (assenza di prospettive di buon outcome per la presenza di patologie croniche in fase terminale o neoplasie senza margine ulteriore di trattamento) ed eticamente (fine vita, dichiarate o manifeste disposizioni anticipate di trattamento) delle chiare controindicazioni alla pratica di manovre rianimatorie.
Sistema 118, diagnosi ed accertamento di morte
Il sottile limite concettuale e temporale tra le urgenti manovre di rianimazione cardiopolmonare e l’accertamento della morte ha portato in questi anni a confondere il ruolo del medico del 118 con quello del certificatore della morte.
Ma viste le premesse ed in un’ottica di ottimizzazione e razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse dell’emergenza preospedaliera non ha senso né clinico né organizzativo inviare il medico a fare diagnosi di morte ed accertare e certificare il decesso in paziente in cui è chiaramente controindicata la RCP.
In un’ottica attuale e limitatamente ai casi in cui non sono indicate le manovre rianimatorie, il compito della certificazione della morte dovrebbe essere affidato ad altre figure professionali come il MMG, il medico di continuità assistenziale o il medico necroscopo.
In pratica in caso di chiamata per arresto cardiaco in cui appaia chiara la futilità delle manovre rianimatorie si dovrebbero attivare, da parte della CO 118, risorse mediche alternative e non urgenti per procedere alla certificazione della morte.

Fuori binario. Consapevolezza della diversità ed elogio della soggettività in Medicina d’Urgenza “street level”
26 GiuDiversità
Sono sempre stato affascinato dalla rivista Fuori Binario una pubblicazione indipendente che si definisce“un giornale di strada, fatto, scritto e distribuito dalle persone che vivono il disagio sulla propria pelle o che ad esso sono molto vicino.” La distribuzione di Fuori Binario è fatta per strada ad offerta libera e devo dire che lo leggo sempre quando c’è occasione non solo per contribuire in piccolissima parte a finanziare chi lo scrive e la pubblica, ma sopratutto perchè gli argomenti trattati e lo stile con cui è scritto mi ricorda molto la mia Medicina d’Urgenza “di strada”. Si perché di questo si tratta quando parliamo di Medicina d’Urgenza preospedaliera di una specialità portata a livello della strada fatta anche per le persone che vivono per strada di giorno e di notte come gli autori e buona parte dei lettori di Fuori Binario
E le similitudini non finiscono qui. Perché la Medicina d’Urgenza preospedalera, come i lettori e gli autori di Fuori Binario, è la parte “povera” e diciamolo un pò dimenticata della Medicina d’Urgenza, tra scarsità di mezzi e carenze ataviche di personale. Ma è anche la parte più libera ed indipendente della nostra specialità così lontana dagli occhi dei Direttori e dei Coordinatori dispersa in postazioni territoriali remote e spesso disagiate.
E noi professionisti? Anche noi siamo diversi. Diversi tra noi, un misto tra convenzionati e dipendenti, diversi come provenienza culturale, tra giovani specialisti e “vecchi” autoformati.
Siamo diversi perchè esercitiamo la Medicina d’Urgenza in ambienti difficili con scarso controllo di tutto ciò che ci accade intorno senza nessun filtro o barriera architettonica a proteggere quello che facciamo. Il nostro lavoro è sempre sotto gli occhi di tutti.
I nostri pazienti sono diversi. Polipatologici, spessì agitati, difficilmente approcciabili per limiti ed incomprensioni linguistiche o culturali, quasi mai attendibili quando si tratta di ottenere un’anamnesi accurata. Spesso non sono critici e non hanno grosse esigenze cliniche ma hanno sempre bisogno di una parola o di una carezza.
Siamo un’armata Brancaleone! Eteroassortiti un team misto di professionisti medici ed infermieri affiancati da volontari e tecnici con differente livello culturale ed espressivo sempre pieni di buona volontà, ma con cui è impossibile fare una programmazione preventiva o anche una razionale divisione dei ruoli.
Soggettività
La formazione in Medicina d’Urgenza negli ultimi anni sta diffondendo la cultura della standardizzazione su protocolli internazionali validi a Firenze ma anche a Perth a Oslo o a Seattle. I protocolli internazionali sono oramai diventati il nostro strumento di lavoro ed il metro di valutazione della qualità sia dentro che fuori dall’ospedale. Ma avete mai riflettuto sull’etimologia del termine PROTOCOLLO, perchè è nella radice etimologica della parola che spesso si nasconde la vera natura del suo significato.
In pratica il protocollo è solo la copertina di un libro ed utilizzarlo pedissequamente è come leggere solo la prima pagina dell’intero quadro clinico di un paziente. Significa rendere semplicisticamente standard quello che standard non può essere perchè ogni paziente è diverso per fisiologia e patologia ed ogni linea guida o protocollo non può non tenerne conto. La soggettività con cui noi professionisti sanitari esercitiamo la nostra pratica clinica non è caos e disorganizzazione ma rispetto per la diversità delle persone che soccorriamo, sia dal punto di vista clinico che umano. Personalmente lo considero un valore aggiunto e non un difetto di professionalità. Chi pretende di valutare la qualità dell’assistenza esclusivamente in base alla stretta aderenza ai protocolli o alle linee guida, senza tenere conto delle ragionevoli variabilità legate alla soggettività dei pazienti può essere solo chi questa professione non l’ha mai esercitata perchè amministrare è diverso da curare.
Il professionista esperto e culturalmente adeguato conosce il protocollo ma sa quando uscirne per salvaguardare la salute del paziente.
La formazione in Medicina d’Urgenza non deve mai perdere il contatto con la realtà clinica quotidiana in cui la diversità e la soggettività sono determinanti fondamentali, e deve porsi come obiettivo prioritario non semplificare e standardizzare, ma fornire ai professionisti strumenti culturali e tecnici per esaltare ed esercitare adeguatamente la propria discrezionalità clinica.
Per utilizzare i protocolli servono delle prototeste (teste primordiali) ma per andare oltre essi serve acume clinico esperienza e cultura.
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Tag:emergenza sanitaria territoriale, medicina d'urgenza preospedaliera