Diversità
Sono sempre stato affascinato dalla rivista Fuori Binario una pubblicazione indipendente che si definisce“un giornale di strada, fatto, scritto e distribuito dalle persone che vivono il disagio sulla propria pelle o che ad esso sono molto vicino.” La distribuzione di Fuori Binario è fatta per strada ad offerta libera e devo dire che lo leggo sempre quando c’è occasione non solo per contribuire in piccolissima parte a finanziare chi lo scrive e la pubblica, ma sopratutto perchè gli argomenti trattati e lo stile con cui è scritto mi ricorda molto la mia Medicina d’Urgenza “di strada”. Si perché di questo si tratta quando parliamo di Medicina d’Urgenza preospedaliera di una specialità portata a livello della strada fatta anche per le persone che vivono per strada di giorno e di notte come gli autori e buona parte dei lettori di Fuori Binario
E le similitudini non finiscono qui. Perché la Medicina d’Urgenza preospedalera, come i lettori e gli autori di Fuori Binario, è la parte “povera” e diciamolo un pò dimenticata della Medicina d’Urgenza, tra scarsità di mezzi e carenze ataviche di personale. Ma è anche la parte più libera ed indipendente della nostra specialità così lontana dagli occhi dei Direttori e dei Coordinatori dispersa in postazioni territoriali remote e spesso disagiate.

E noi professionisti? Anche noi siamo diversi. Diversi tra noi, un misto tra convenzionati e dipendenti, diversi come provenienza culturale, tra giovani specialisti e “vecchi” autoformati.
Siamo diversi perchè esercitiamo la Medicina d’Urgenza in ambienti difficili con scarso controllo di tutto ciò che ci accade intorno senza nessun filtro o barriera architettonica a proteggere quello che facciamo. Il nostro lavoro è sempre sotto gli occhi di tutti.

I nostri pazienti sono diversi. Polipatologici, spessì agitati, difficilmente approcciabili per limiti ed incomprensioni linguistiche o culturali, quasi mai attendibili quando si tratta di ottenere un’anamnesi accurata. Spesso non sono critici e non hanno grosse esigenze cliniche ma hanno sempre bisogno di una parola o di una carezza.

Siamo un’armata Brancaleone! Eteroassortiti un team misto di professionisti medici ed infermieri affiancati da volontari e tecnici con differente livello culturale ed espressivo sempre pieni di buona volontà, ma con cui è impossibile fare una programmazione preventiva o anche una razionale divisione dei ruoli.
Soggettività
La formazione in Medicina d’Urgenza negli ultimi anni sta diffondendo la cultura della standardizzazione su protocolli internazionali validi a Firenze ma anche a Perth a Oslo o a Seattle. I protocolli internazionali sono oramai diventati il nostro strumento di lavoro ed il metro di valutazione della qualità sia dentro che fuori dall’ospedale. Ma avete mai riflettuto sull’etimologia del termine PROTOCOLLO, perchè è nella radice etimologica della parola che spesso si nasconde la vera natura del suo significato.

Protocollo: πρωτόκολλον, comp. di πρῶτος «primo» e κόλλα «colla», termine col quale s’indicava il primo foglio di un rotolo di papiro costituito dalla giustapposizione, per mezzo di colla, di più fogli.
Cit. Dizionario Treccani
In pratica il protocollo è solo la copertina di un libro ed utilizzarlo pedissequamente è come leggere solo la prima pagina dell’intero quadro clinico di un paziente. Significa rendere semplicisticamente standard quello che standard non può essere perchè ogni paziente è diverso per fisiologia e patologia ed ogni linea guida o protocollo non può non tenerne conto. La soggettività con cui noi professionisti sanitari esercitiamo la nostra pratica clinica non è caos e disorganizzazione ma rispetto per la diversità delle persone che soccorriamo, sia dal punto di vista clinico che umano. Personalmente lo considero un valore aggiunto e non un difetto di professionalità. Chi pretende di valutare la qualità dell’assistenza esclusivamente in base alla stretta aderenza ai protocolli o alle linee guida, senza tenere conto delle ragionevoli variabilità legate alla soggettività dei pazienti può essere solo chi questa professione non l’ha mai esercitata perchè amministrare è diverso da curare.
Il professionista esperto e culturalmente adeguato conosce il protocollo ma sa quando uscirne per salvaguardare la salute del paziente.
La formazione in Medicina d’Urgenza non deve mai perdere il contatto con la realtà clinica quotidiana in cui la diversità e la soggettività sono determinanti fondamentali, e deve porsi come obiettivo prioritario non semplificare e standardizzare, ma fornire ai professionisti strumenti culturali e tecnici per esaltare ed esercitare adeguatamente la propria discrezionalità clinica.
Per utilizzare i protocolli servono delle prototeste (teste primordiali) ma per andare oltre essi serve acume clinico esperienza e cultura.

Mario, bellissimo post. Condivido ogni parola.
Grazie. È un po’ spinto come cocetti ma avere la tua condivisione mi fa tirare un sospiro di sollievo.