
I dati di questo trial appena pubblicato, hanno acceso il dibattito sull’utilità dell’ipotermia nell’arresto cardiaco, già dalla fase preospedaliera.
Vediamo il disegno dello studio. I pazienti (1359) venivano randomizzati fin dal ROSC preospedaliero in due gruppi; uno riceveva il trattamento standard mentre il secondo veniva sottoposto ad l’ipotermia (liquidi freddi per via parenterale). I pazienti di entrambi i gruppi venivano poi comunque “raffreddati” all’arrivo in DEA.
I risultati. Nessun beneficio viene dimostrato nei pazienti sottoposti ad ipotermia sia in termini di mortalità che di outcome neurologico. Veine anzi evidenziato un aumento delle recidive di ACR e di scompenso cardico congestizio nei pazienti sottoposti ad ipotermia.
La critica mossa agli auotri riguarda il non stretto controllo della temperatura ed il metodo di raffreddamento. Due litri di salina a 4° infatti somministrati per via endovenosa possono avere un impatto emodinamico significativo.
Allora tutta colpa dello studio condotto male?

Ecco quindi questo studio anch’esso dello stesso periodo, condotto in Europa ed in Australia su 950 pazienti.
Lo studio questa volta è molto rigoroso sul controllo della temperatura e sulla selezione dei pazienti. Indaga quale target di temepratura dimostri maggior beneficio nei pazienti vittima di ACR, se i classici 33° o 36°, indicati come ipotermia moderata.
I risultati. Anche questo studio non dimostra nessun beneficio derivato dall’applicazione di una ipotermia spinta su quella moderata. Un sensibile peggioramento veniva dimostrato solo nei pazienti ipertermici. Quindi indicazioni sicuramente sul controllo della temperatura per evitare l’ipertermia nei pazienti sopravvissuti da ACR ma ancora nessuna evidenza sul beneficio dell’ipotermia.
Possiamo ancora far finta di non vedere?
Possiamo ignorare che le indicazioni che riguardano l’uso dell’ipotermia, e su cui si basano le attuali linee guida, sono sostenute da studi datati e poco potenti?
Bottom line
Quello che questi studi devono stimolare è l’attenione massima sul “post-resuscitative care” del paziente rianimato da ACR.
Non finisce tutto dopo il ROSC, anzi! Il buon outcome comincia proprio dalla ripresa del circolo!
Massima attenzione va quindi posta sulla globalità trattamento post-rianimatorio:
- Controllo della ventilazione assistita
- Controllo delle pressioni
- Controllo dei volumi
- Paralisi
- Evitare l’iperossia
- Target di saturazione di O2 94-98%
- Mantenere l’eucapnia
- Evitare l’ipertermia
- TTM (Targeted Temperature Management)
- Trattamento della causa sottostante
- Considerare la circolazione extracorporea
- Pazienti con shock cardiogeno persistente post ROSC
Come e quanto raffreddare il paziente rianimato? Seguiamo con interesse il dibattito internazionale in attesa di nuovi, sicuramente necessari, trial che facciano più chiarezza sull’argomento.

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Tag:ALS, arresto cardiaco, Emergency Medicine guidelines, Guidelines, ipotermia, ipothermia, Linee guida, post resuscitative care, ROSC
To cool or not to cool. Possiamo fare finta di non vedere?
23 NovI dati di questo trial appena pubblicato, hanno acceso il dibattito sull’utilità dell’ipotermia nell’arresto cardiaco, già dalla fase preospedaliera.
Vediamo il disegno dello studio. I pazienti (1359) venivano randomizzati fin dal ROSC preospedaliero in due gruppi; uno riceveva il trattamento standard mentre il secondo veniva sottoposto ad l’ipotermia (liquidi freddi per via parenterale). I pazienti di entrambi i gruppi venivano poi comunque “raffreddati” all’arrivo in DEA.
I risultati. Nessun beneficio viene dimostrato nei pazienti sottoposti ad ipotermia sia in termini di mortalità che di outcome neurologico. Veine anzi evidenziato un aumento delle recidive di ACR e di scompenso cardico congestizio nei pazienti sottoposti ad ipotermia.
La critica mossa agli auotri riguarda il non stretto controllo della temperatura ed il metodo di raffreddamento. Due litri di salina a 4° infatti somministrati per via endovenosa possono avere un impatto emodinamico significativo.
Allora tutta colpa dello studio condotto male?
Ecco quindi questo studio anch’esso dello stesso periodo, condotto in Europa ed in Australia su 950 pazienti.
Lo studio questa volta è molto rigoroso sul controllo della temperatura e sulla selezione dei pazienti. Indaga quale target di temepratura dimostri maggior beneficio nei pazienti vittima di ACR, se i classici 33° o 36°, indicati come ipotermia moderata.
I risultati. Anche questo studio non dimostra nessun beneficio derivato dall’applicazione di una ipotermia spinta su quella moderata. Un sensibile peggioramento veniva dimostrato solo nei pazienti ipertermici. Quindi indicazioni sicuramente sul controllo della temperatura per evitare l’ipertermia nei pazienti sopravvissuti da ACR ma ancora nessuna evidenza sul beneficio dell’ipotermia.
Possiamo ancora far finta di non vedere?
Possiamo ignorare che le indicazioni che riguardano l’uso dell’ipotermia, e su cui si basano le attuali linee guida, sono sostenute da studi datati e poco potenti?
Bottom line
Quello che questi studi devono stimolare è l’attenione massima sul “post-resuscitative care” del paziente rianimato da ACR.
Non finisce tutto dopo il ROSC, anzi! Il buon outcome comincia proprio dalla ripresa del circolo!
Massima attenzione va quindi posta sulla globalità trattamento post-rianimatorio:
Come e quanto raffreddare il paziente rianimato? Seguiamo con interesse il dibattito internazionale in attesa di nuovi, sicuramente necessari, trial che facciano più chiarezza sull’argomento.
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Tag:ALS, arresto cardiaco, Emergency Medicine guidelines, Guidelines, ipotermia, ipothermia, Linee guida, post resuscitative care, ROSC